L’assunzione da parte del Verbo di Dio di un corpo e di un’anima umani implicano, infatti, la presenza di un volto e di quindi di uno sguardo umani: da qui l’eccezionale occasione della rappresentazione delle immagini che, nonostante i dibattiti e le lotte iconoclaste, irruppe agli albori del cristianesimo e lo attraver- sò, come una costante, durante tutta la sua storia.
Il bisogno di immagini in am- bito cristiano subì un’accelerazione anche a causa dello slittamento del ritorno di Cristo sulla terra. Le comunità apostoliche che inizialmente avevano vissuto nell’ardente attesa dell’imminente parusia non ritenevano infatti necessario conservare immagini o ritratti di Gesù.
La visione del Figlio incarnato di Dio, di cui avevano goduto apostoli e discepoli, era tuttavia preclusa ai posteri.
Il volto di Cristo: Gli acheropiti del Salvatore nella tradizione dell'Oriente cristiano. Il nuovo libro di Emanuela Fogliadini analizzato in tutti i suoi aspetti e caratteristiche per una dettagliata recensione antecedente all'acquisto.
sabato 14 maggio 2011
Le icone Acheropite di Cristo e la loro dimensione teologica
Spesso, anche se destinata a non essere esaudita durante la vita terrena, per cui la risposta della Scrittura alla ricerca del volto di Dio si concretizza nell’invito a osservare le leggi e i comandamenti da Lui donati.
La teologia ebraica abolisce, infatti, la possibilità di vedere direttamente Dio: «Persino la gloriosa teologia del kabod non significa né la pienezza di Dio né la presenza di Dio. Questa protegge l’individualità della presenza non mediata di Jahvè».
Il senso letterale dell’espressione indica la visita al santuario e, poiché il culto di Israele è aniconico, non si può parlare nella teologia ebraica di un guardare il volto di Dio: «Il concetto “volto di Dio” non è divenuto perciò nell’A.T. un concetto teologico autonomo, ma esiste solo come un modo di esprimersi».
Al contrario la benedizione per eccellenza equivale ad avere il volto di Dio che risplende su di sé: «Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio».
Nel Nuovo Testamento prorompe, rispetto al tema del volto e dello sguardo, una prospettiva nuova e inattesa che capovolge la visione veterotestamentaria.
La teologia ebraica abolisce, infatti, la possibilità di vedere direttamente Dio: «Persino la gloriosa teologia del kabod non significa né la pienezza di Dio né la presenza di Dio. Questa protegge l’individualità della presenza non mediata di Jahvè».
Il senso letterale dell’espressione indica la visita al santuario e, poiché il culto di Israele è aniconico, non si può parlare nella teologia ebraica di un guardare il volto di Dio: «Il concetto “volto di Dio” non è divenuto perciò nell’A.T. un concetto teologico autonomo, ma esiste solo come un modo di esprimersi».
Al contrario la benedizione per eccellenza equivale ad avere il volto di Dio che risplende su di sé: «Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio».
Nel Nuovo Testamento prorompe, rispetto al tema del volto e dello sguardo, una prospettiva nuova e inattesa che capovolge la visione veterotestamentaria.
domenica 8 maggio 2011
Il volto e lo sguardo
Il volto è il luogo del corpo dove, per eccellenza, sono maggiormente comunicati atteggiamenti, emozioni, reazioni, sentimenti. Gran parte di ciò che sappiamo sugli altri lo apprendiamo dai loro volti, prima ancora che parlino, e gran parte degli indizi su noi stessi è trasmessa proprio dalle espressioni del nostro viso: «Il volto è a un tempo l’identità di una persona e il varco aperto sul suo segreto. Nel volto, la persona ti guarda e chiede di essere riconosciuta.
Il volto è il luogo dove la persona comunica quando vuole aprirsi e rendersi accessibile, il volto è il cristallo trasparente dove brilla l’interiorità della vita o diventa uno schermo quando la persona vuole nascondersi e sottrarsi a uno sguardo invadente e indagatore.
La Sacra Scrittura, esperta nell’indagare l’animo umano, si sofferma spesso sulla descrizione del volto come fonte di comunicazione del pensare e sentire dell’uomo. L’Antico Testamento utilizza assiduamente il termine panim per in- dicare sia il volto in senso proprio, sia l’aspetto fisico, ma anche lo sguardo e ad- dirittura la persona stessa. L’importanza del concetto è tale che, con le sue 2.100 attestazioni, è la parola più frequente nei libri veterotestamentari. Essa inoltre, presente al plurale, sottolinea la molteplicità dei dettagli che compongono il volto.
Il volto è il luogo dove la persona comunica quando vuole aprirsi e rendersi accessibile, il volto è il cristallo trasparente dove brilla l’interiorità della vita o diventa uno schermo quando la persona vuole nascondersi e sottrarsi a uno sguardo invadente e indagatore.
La Sacra Scrittura, esperta nell’indagare l’animo umano, si sofferma spesso sulla descrizione del volto come fonte di comunicazione del pensare e sentire dell’uomo. L’Antico Testamento utilizza assiduamente il termine panim per in- dicare sia il volto in senso proprio, sia l’aspetto fisico, ma anche lo sguardo e ad- dirittura la persona stessa. L’importanza del concetto è tale che, con le sue 2.100 attestazioni, è la parola più frequente nei libri veterotestamentari. Essa inoltre, presente al plurale, sottolinea la molteplicità dei dettagli che compongono il volto.
Iscriviti a:
Post (Atom)